cretinodicrescenzago reviewed The Golden Barge by Michael Moorcock
Squisito fantasy surreale pretenzioso di serie B
3 stars
Content warning Possibili allusioni al finale della storia di un personaggio secondario
Vox populi: "Ohi, ma la smetti di leggere ogni anno dai 2 ai 5 romanzi di Michael Moorcock?" Il sottoscritto: "AHAHAHA NO"
Dopo la parziale delusione di Warriors of Mars la voglia di un romanzo d'avventura fantastica mi era rimasta, ergo mi sono lanciato sulla seconda opera giovanile di Moorcock (dopo l'orrendo Sojan the Swordsman composto al liceo), e devo riconoscere che questo The Golden Barge è una piccola gemma: il Moorcock diciannovenne doveva essere benedetto dalle Muse, perché è riuscito a mettere assieme un incrocio affascinante e funzionante fra una cerca cavalleresca medievale e un romanzo di formazione nichilista alla Il giovane Holden. Da un lato, la struttura generale degli eventi e le connotazioni psicologiche danno al romanzo una gradevole patina fiabesca: il nostro eroe Jephraim Tallow ha la fisionomia grottesca e gli appetiti essenziali di un buffone medievale e il suo inseguimento della Chiatta d'Oro eponima per raggiungere "la vera conoscenza" ha molto della cerca del Santo Graal, la coprotagonista Pandora si muove obiettivamente lungo l'asse psicologico tradizionale "Madonna-Puttana" (con tutte le implicazioni sgradevoli conseguenti...), e la concatenazione di soste avventurose lungo l'asse del Grande Fiume ha un che di odisseico, specialmente nella tappa della città di Melibone (sic!) che odora moltissimo di isola di Scheria. Dall'altro lato, le tribolazioni di Jephraim sono indiscutibilmente esperienze paradigmatiche dell'Europa postbellica stretta dalla Guerra Fredda: internamenti che sanno di kafkiano e di buzzatiano, bagordi orgiastici che sembrano anticipare la Londra-Melniboné del ciclo di Elric, carestie ed epidemie memori dei massacri del '39-'45 (e profetiche di quelli successivi), il conflitto culturale fra il razionalista individualista Jephraim e il predicatore misticheggiante Mesmers, la lunga e appassionante vicenda delle lotte intestine nel regno di Rimsho forse modellata sulla guerra civile greca del '43-'49 e terrificante prefigurazione di tanti golpe del secolo scorso (la vicenda del colonnello Zhist, mutatis mutandis, mi ha fatto pensare con più di un brivido alla parabola di Salvador Allende). Posti questi meriti, il difetto del romanzo è quello indicato con grande franchezza e obiettività nella prefazione: come ogni opera prima abbonda di energia ma manca di finezza, e la vicenda psicologica di Jephraim, la sua ricerca di completa autonomia solipsista dal consorzio umano, è espressa un po' troppo poco lasciando parlare le sue azioni e un po' tanto da discettazioni filosofiche roboanti che lo vedono contrapporsi ad altri personaggi. Diciamo che al terzo dialogo (o talvolta soliloquio) che esplicita i significati inconsci di eventi precedenti, la cosa diventa un po' pesante – ma comunque ben più interessante de La coscienza di Zeno, detto fuori dai denti. In chiusura, un piccolo bel romanzo imperfetto ma densissimo. Consigliato assai.